Brevi riflessioni che vengono dalla mia pratica clinica. Alcuni tra noi hanno una naturale propensione ad immergersi nei propri vissuti, pensieri, sensazioni, ottima risorsa per non perdersi di vista e tenere desta la consapevolezza di sè. Acccade tuttavia che taluni si immergano nei fondali della propria mente troppo a lungo o troppo spesso o più semplicemente siano così portati a immergersi da non rendersi conto di non rimeregere mai e non capire come mai emrgano vissuti depressivi o ancora la propria vita inizi ad assomigliare ad un disco rotto, una scena che si ripete e che ogni volta porta sempre di più verso l'abisso. Analizzare, criticizzare, ricostruire, scandagliare insomma i fondali della propria anima può essere un'ottima pratica ma proprio come un'immersione subacquea richiede una serie di fattori e soprattutto prevede il fatto che si riemerga! Fare i conti con se stessi non può essere un'esperienza salutare se ciò porta alla mancanza di ossigeno, ad un turbamento ancora peggiore o allo stallo più totale. Immergersi richiede la giusta attrezzatura, il giusto allenamento, le opportune precauzioni e la valutazione dello stato di agitazione delle acque in cui ci si immerge. A volte alcuni tra noi, soprattutto color che, in fin dei conti, dagli abissi sono attratti, più sono in difficoltà e più a fondo si immergano, senza considerare che l'immersione richiede una buona condizione di salute... Spero la metafora dell'immersione possa essere di supporto ai, diciamo così, sub dell'anima, perchè immergersi non significa sprofondare e a tal proposito rimando anche al post sulla leggerezza pubblicato qualche tempo fa...